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			"Il senso di colpa è uno dei 
			sentimenti più distruttivi che possiamo nutrire" 
			" Non siamo mai responsabili di ciò 
			che accade agli altri. Tuttavia possiamo essere l'occasione che fa 
			loro vivere una situazione di cui hanno bisogno sulla via della loro 
			evoluzione" 
			dal libro di  
			Claudia Rainville 
			
			Metamedicina 
			
			Ogni sintomo è un messaggio   |    
					
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			"Il miglior rimedio contro la collera 
			sta dunque nel rispettare i propri bisogni, nel tracciare i propri 
			limiti, nell'osare esprimere ciò che sentiamo piuttosto che 
			nasconderlo dietro la paura di non venir amato  
			o approvato" 
			dal libro di  
			Claudia Rainville 
			
			Metamedicina 
			
			Ogni sintomo è un messaggio 
 
			"Non possiamo mai deludere nessuno, e 
			tanto meno possono deluderci gli altri. 
			Soltanto le aspettative possono essere 
			deluse." 
			dal libro di  
			Claudia Rainville 
			
			Metamedicina 
			
			Ogni sintomo è un messaggio |        | 
			  
			  
			
			
			Metamedicina: 
			 
			 
			 
			
			
			tu sei responsabile della tua salute e felicità 
			
			tratto dal libro:  
			
			
			
			"Metamedicina - Ogni sintomo è un messaggio" 
			di 
			Claudia Rainville 
			  
			
			Assumere la responsabilità di ciò che viviamo significa riconoscere 
			e accettare che i nostri pensieri, i nostri sentimenti, i nostri 
			atteggiamenti hanno dato luogo sia alle situazioni felici e infelici 
			in cui ci siamo imbattuti, sia alle difficoltà o alle gioie che 
			viviamo attualmente.   
			  
			
			Non possiamo parlare di 
			
			
			
			
			
			metamedicina
			senza tener conto della 
			legge di responsabilità, giacché essa costituisce la condizione 
			di base per una vera guarigione. Quando studiavo microbiologia, 
			interrogavo i miei professori per sapere da dove provenissero i 
			microbi (batteri, virus, parassiti, e così via), e mi rispondevano 
			che questi agenti patogeni provenivano da contaminazioni. Accettavo 
			la cosa continuando però a chiedermi dove la prima persona avesse 
			potuto contrarre il microbo. Mi adeguai, paga della massa di 
			conoscenze che esploravo nel mondo affascinante dei microrganismi, 
			ma i miei interrogativi erano latenti; quando cominciai a lavorare 
			in ospedale, ricominciai a chiedermi perché il tale si ripresentasse 
			di continuo con infezioni urinarie, e la tal altra con vaginiti a 
			ripetizione.
 
			
			
			Ricordo in particolare un uomo anziano, con la tubercolosi, che 
			praticamente non usciva mai di casa; i pochi visitatori che riceveva 
			non avevano il bacillo di Koch a cui si attribuiva la sua malattia: 
			dove mai avevano potuto ‘contrarre’ quell’infezione? Intuitivamente, 
			sapevo che gli esseri umani possiedono la capacità di sviluppare la 
			malattia sia attirando l’agente infettivo mediante la frequenza 
			vibratoria, sia destabilizzando le molecole delle proprie cellule, 
			consentendo in tal modo lo sviluppo di una patologia. Ma quando 
			azzardavo a proporre questa ipotesi, tutti mi deridevano.
 
 Assumere la responsabilità di ciò che viviamo significa riconoscere 
			e accettare che i nostri pensieri, i nostri sentimenti, i nostri 
			atteggiamenti proprio come le lezioni che bisogna imparare nella 
			nostra evoluzione – abbiano dato luogo sia alle situazioni felici e 
			infelici in cui ci siamo imbattuti sia alle difficoltà o alle gioie 
			che viviamo attualmente.
 
			
			
			Quando nei seminari e nelle conferenze 
			tocco questo tasto, spesso la gente ribatte: “Sarei io che mi sono 
			attirato un padre violento?» «Se un bambino nasce malato, non sarà 
			mica colpa sua?” “Se mio marito ha perso il lavoro, è perché 
			l’azienda in cui lavorava ha chiuso: non ha nulla a che vedere con 
			lui” “Come a dire che, se ho mal di schiena, sarebbe colpa mia!” 
			”Non pensavo che uno potesse fabbricarsi una malattia! ” ”È davvero 
			ingiusto. Mio figlio, che non ha fatto male a nessuno, sarà 
			handicappato tutta la vita, mentre ci sono dei criminali che stanno 
			benissimo”. Il mio secondo padre diceva: “C’è un’unica giustizia 
			sulla terra, ed è la morte”.
 Tutte queste riflessioni traducono una incomprensione della legge 
			fondamentale della responsabilità, molto spesso confusa con il 
			senso di colpa: è questa confusione a renderla difficile da 
			accettare agli occhi di molte persone, che la leggono così: “Se 
			questa situazione o questa malattia me la sono creata io, allora 
			sarebbe colpa mia se sto male”. Questa chiave di lettura è 
			sbagliata, ed è – per molti di noi – dovuta al tipo di educazione 
			religiosa in cui siamo cresciuti.
 
 La cultura giudaico-cristiana ci ha insegnato ad affidarci a un 
			potere superiore, Dio, e che se agiamo secondo i suoi comandamenti e 
			pratichiamo azioni meritorie, veniamo ricompensati in questa stessa 
			vita o dopo la morte; se invece non obbediamo ai suoi comandamenti o 
			a quelli della Chiesa ci attende la punizione! Con questa base alla 
			prima difficoltà inattesa e inspiegabile automaticamente ci viene da 
			pensare: “Cos’ho fatto di male perché debba capitare questo proprio 
			a me?” Oppure cerchiamo un responsabile esterno, ci dev’essere per 
			forza un ‘colpevole’. Così, quando una situazione ci fa soffrire, 
			abbiamo preso l’abitudine di colpevolizzarci (credendolo di 
			essercela meritata) oppure ne accusiamo altri, o addirittura Dio.
 
 Quando dico che essere responsabile della situazione significa che 
			mi riconosco quale creatore di ciò che vivo, non intendo insinuare 
			che ho creato deliberatamente una situazione gradevole o sgradevole, 
			ma che bisogna accettare e riconoscere che i nostri pensieri, 
			il nostro sentire, i nostri atteggiamenti o le lezioni che è 
			necessario integrare nella nostra evoluzione, hanno generato le 
			situazioni felici o infelici che ora stiamo vivendo.
 
			
			La legge della 
			responsabilità, di conseguenza, non ha nulla a che fare con il 
			merito o la punizione, con la fortuna o la sfortuna, con la 
			giustizia o l’ingiustizia, oppure con la colpa: riguarda solo il 
			concatenarsi delle cause e degli effetti.
 Non siamo forse liberi di accettare una credenza o rifiutarla? Di 
			scegliere le parole di cui ci serviamo? Di interpretare una parola o 
			una situazione? Non siamo forse liberi di amare e di odiare? Di 
			accusare o comprendere? Di dire del male o del bene? Non siamo forse 
			liberi di guardare la verità in faccia o di mentire a noi stessi? Di 
			reagire o di agire? Di alimentare la paura o di avere fiducia?
 
 Si, siamo liberi. Nei nostri pensieri, nei nostri sentimenti, 
			nelle nostre credenze, nei nostri atteggiamenti, nelle nostre 
			scelte. Sebbene abbiamo, tutti quanti, questa libertà intera, non 
			possiamo sfuggire alle conseguenze di ciò che scegliamo di dire, 
			fare, credere. Forse sei pronto a riconoscere il peso delle tue 
			scelte e delle loro conseguenze, ma forse penserai: “Se una persona 
			è al volante e un’altra la investe in pieno, non avrà mica scelto 
			lei di avere un incidente?” No, certamente. E tuttavia, che cosa è 
			accaduto prima dell’incidente perché quella persona si trovasse in 
			quel contesto?
 
			
			“Nulla è frutto del caso”
			- Questa verità fondamentale è a volte 
			manipolata, per esempio da certi leader che, per far leva sui loro 
			adepti, dicono: “Il caso non esiste, e se sei venuto qui è perché 
			hai bisogno di noi”. È giusto dire che non esiste il caso, e 
			tuttavia l’interpretazione che si può dare di questa affermazione 
			non è necessariamente quella giusta. Può darsi che una persona si 
			trovi in un gruppo per imparare a dire di no oppure per impiegare il 
			proprio discernimento.
 
			
			Lo stesso 
			Buddha diceva: “Non credete a me, 
			verificate, sperimentate, e quando saprete da voi stessi che 
			qualcosa è favorevole, allora seguitelo; e quando saprete da voi 
			stessi che qualcosa non vi è favorevole, allora rinunciatevi”.
 Un senso di colpa può essere la causa di incidenti, problemi e oltre 
			forme di autopunizioni?
 
			
			
			Osserva, e trai le tue conclusioni. Puoi 
			verificarlo, se hai già avuto un incidente, che cosa stavi vivendo 
			prima di esso? Un incidente a un piede o alle gambe può essere 
			facilmente collegato a un senso di colpa, per il fatto di precedere 
			qualcuno che invece fa da freno, magari perché a sua volta si 
			rifiuta di avanzare. Un incidente a un dito può essere collegato a 
			un certo perfezionismo; ci si sente colpevoli per aver eseguito un 
			lavoro troppo in fretta o senza troppa cura. La simbologia del corpo 
			può aiutarci a stabilire questo collegamento fra un incidente e ciò 
			di cui ci sentiamo colpevoli.
 Tratto dal libro
			
			
			
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