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AMORE DIPENDENTE O AUTENTICO ?
La "codipendenza" è un doloroso gioco a due in cui il dipendente
vive un amore ossessivo che lede la propria dignità,
e l'in-dipendente fugge perché incapace di accettare il rischio di
amare.
Un circolo vizioso da cui è possibile uscire imparando ad amare prima di
tutto se stessi.
Tutti siamo stati bambini e i bambini sognano. I maschietti di essere
eroi, senza macchia e senza paura, che sconfiggono draghi e liberano
principesse dalle torbide grinfie di un perfido mago. Le femminucce
fantasticano di essere bellissime principesse rinchiuse in una tetra
torre, in attesa che il cavaliere senza macchia e senza paura venga a
liberarle sul suo bianco destriero.
Ma, come tutti i sogni, anche questo è destinato a finire. E così l'eroe e
la principessa si ritrovano adolescenti, e poi adulti, che cercano
disperatamente qualcuno che li faccia sentire importanti, che li
riconosca per quell'eroe e quella principessa che speravano di essere.
E quando credono di averlo trovarlo non lo mollano più.
Un bel rapporto simbiotico, eccitante come... una camera a gas.
Una sofferenza atroce.
Questa è la codipendenza.
Cercare di possedere a tutti i costi un'altra persona nell'illusione di
far tacere quella fastidiosa voce appollaiata sulle proprie spalle che
continuamente dice che non si vale, che non si combinerà mai niente di
buono, che senza di lei/lui non si può vivere oppure, al contrario, che
lei/lui impedisce la propria realizzazione ed è soffocante con le sue
continue richieste di attenzione.
Sì perché nella codipendenza i protagonisti sono sempre due e, in genere,
uno fugge e l'altro insegue. Accanto al "bisognoso",
infatti, c'è
l'in-dipendente, il quale sviluppa una dipendenza non diretta, che
nasce dall'incapacità di lasciarsi andare al rischio dell'amore, che
pone continuamente paletti alla relazione, calcolando tutti i rischi
possibili e immaginabili prima di aprire un piccolo spiraglio del suo
cuore.
Il dipendente tende a essere una sanguisuga, una zecca,
un mendicante d'affetto, mentre l'in-dipendente assume le caratteristiche
dell'orso che sta in disparte, oppure del colibrì che non sta mai fermo,
comunque di una persona che dà l'idea di essere inafferrabile.
Anche quando c'è, non c'è veramente.
Ma la cosa interessante è che gli in-dipendenti, per strana
"coincidenza", stanno sempre vicini a qualcuno che si attacca loro come
una sanguisuga, salvo poi lamentarsi di non avere abbastanza spazio o di
sentirsi soffocare, e i dipendenti si innamorano puntualmente di chi
sfugge o si nega, lagnandosi di non essere abbastanza amati. Ognuno
sembra essere alla ricerca del suo opposto.
A livello profondo, ogni codipendente porta in sè un giudice interiore
che lo condanna e lo rimprovera, per il quale la propria vita non è mai
all'altezza delle possibilità di felicità, di libertà, di
autoaffermazione che il sogno del bambino gli aveva promesso. Così
cerca di ridurre al silenzio queste voci affidando la propria
felicità a un'altra persona,
credendo che questa sofferenza possa essere lenita da qualcuno che accetti
di metterlo al centro del suo universo, tanto quanto lui finge che
l'amato sia il centro del suo.
Pretendendo così ciò che non può essere
imposto: l'amore.
Una pretesa destinata inevitabilmente al fallimento.
Ma invece di capire il fallimento come risultato inevitabile del proprio
"delirio", e come occasione di un primo risveglio, quasi sempre il
codipendente cerca fuori di sé il colpevole: "E' colpa sua perché è
troppo asfissiante", "Non mi dà abbastanza attenzioni", "Se fosse
diverso/a andrebbe tutto a meraviglia". Ma quando felicità o
infelicità non dipendono più dalle proprie scelte, e dalle loro
conseguenze, ma dalle scelte di qualcun'altro, allora la sofferenza è
garantita.
La salvezza è scoprire e affrontare la verità: l'origine della
sofferenza non è nella relazione, bensì dentro se stessi. Per
uscirne occorre imparare ad amare prima di tutto se stessi, ed essere
consapevoli delle ragioni profonde della propria situazione, decidendo
che non si vuole più avere a che fare con giochi di questo genere e
scoprendo qual è il significato profondo, psichico e animico, della
dipendenza.
"Lavorando nelle comunità di tossicodipendenza e nei servizi, con le
coppie e le famiglie - spiega Loris Muner, counselor clinico, formatore
e supervisore in comunità terapeutiche - abbiamo scoperto che la domanda
vera della dipendenza non era il controllo o il potere ma una sete
spirituale di totalità. La dipendenza da sostanze, così come la
dipendenza da un altro essere umano, nasce dalla nostalgia di un periodo
in cui eravamo tutt'uno con qualcosa di diverso da noi e ci sentivamo
molto più in pace ed espansi di ora, sia che si trattasse della pancia
della mamma sia che fosse l'essere completamente dispersi nel cosmo.
Si tratta una nostalgia dell'infinito, del sacro e dell'unità".
Quindi il rapporto di coppia è una delle vie al sacro. Ciò avviene
quando si avverte la sensazione che si sta ricontattando qualcosa di
antichissimo, di senza tempo, che ha a che fare con l'infinito e con
il sacro, attraverso l'unione con un altro essere umano radicalmente
diverso, eppure così uguale da essere il proprio specchio.
C'è dunque la possibilità di una trasformazione profonda proprio a partire
dai giochi della personalità della dipendenza.
E' fondamentale però la consapevolezza e l'accettazione del dove ci si
trova nel momento presente, per quanto attiene alle vere intenzioni che
sorreggono lo stare insieme. Essere co-dipendenti, significa anche
essere capaci di attenzione, disponibilità, sensibilità, solidarietà,
interesse, amore per l'altro. Si tratta di ritrovare il proprio centro
personale per poi riuscire a esprimere tutte queste qualità in modo
sano. E a quel punto, non avrà più senso parlare di dipendenza e
in-dipendenza.
Si potrà finalmente parlare di amore autentico.
di Claudia Marangoni
Fonte:
http://www.lifegate.it/essere/articolo.php?id_articolo=1570 |